Petrosino, imputati per danneggiamento, lesioni, incendio: l'esame degli imputati

Redazione
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Imputati per danneggiamento, lesioni, incendio: sono quattro residenti delle case popolari di via Vincenzo Gioberti in Petrosino.
In concorso tra di loro, gli imputati (B.T., S.P.M., B.G., R.A., difesi di fiducia rispettivamente dagli avvocati Pietro Marino, Ignazia Rallo, Giacomo Frazzitta e Aurelio Lombardo) avrebbero aggredito verbalmente C.A. minacciandolo pronunciando frasi come figlio di putt*, sei corn* e tua madre è tro*, ti puliziamo, ti levamo di nnu mezzo.
Gli stessi, dopo aver sfondato la porta di ingresso dell'abitazione della vittima, vi si sarebbero introdotti contro la sua volontà, commettendo violenza sulle cose.
Altresì avrebbero reso inservibile l'autovettura di C.A. infrangendone il parabrezza con una grossa pietra e dandola alle fiamme.
Nel corso dell'udienza che è stata celebrata oggi 23 ottobre nel Tribunale di Marsala in composizione monocratica davanti al giudice Andrea Agate, era previsto l'esame degli imputati e l'audizione di un teste, padre dell'imputato R.A. con le medesime iniziali.
S.P.M. riferisce che mentre girava col motore insieme a R.A. nel cortile interno delle palazzine, a un tratto vide C.A. affacciato dal balcone del secondo piano della sua abitazione inveirgli verbalmente non riuscendo a distinguere le parole, e lanciargli il vaso di una pianta senza colpirli.
S.P.M., cercando di capire il motivo del gesto, si avvicina all'entrata dello stabile dove, a detta dell'imputato, trova  C.A.  che gli punta contro un fucile subacqueo minacciandolo di andar via.
C.A. avrebbe anche inferto un colpo con il fucile tra collo e nuca dell'imputato. Per questo fatto, l'imputato veniva condotto in ambulanza nel nosocomio marsalese e altresì denunciava C.A.
Da quel momento in poi S.P.M. non ha altri ricordi pur ammettendo che il livello di rumore dei motori era alto e oltre l'imputato R.A. con cui era in compagnia, non ha saputo identificare altre persone che nel frattempo si erano avvicinate.
Il teste R.A., padre dell'imputato R.A., riferisce che verso l'ora di pranzo, il proprio figlio in compagnia di S.P.M., mentre facevano giri con i motori nel cortile interno delle palazzine, gli avrebbe raccontato del lancio del vaso e, volendo chiarire l'accaduto, salgono al secondo piano dell'abitazione di C.A., bussano, ma anche qua, a detta del teste, C.A. avrebbe loro puntato un fucile subacqueo alla cui vista fuggono impauriti.
R.A. dichiara di non conoscere la tipologia di auto posseduta da C.A., di non aver mai avuto in passato screzi con C.A., di non sapere la motivazione del gesto di C.A., di aver capito che la sua auto era andata a fuoco (circa un'ora dopo il mancato chiarimento con C.A.) perché si erano levate alte le colonne nere di fumo, e che il figlio, dal momento del lancio del vaso in poi, era sempre stato con lui.

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Fonte: Giornale di Sicilia

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